“Visioni dall’invisibile. Il cinema dipinto del Ghana”, FAR, Fabbrica Arte Rimini (2014)

Sito foto 8Fra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del secolo scorso, nel contesto della grave crisi economica conseguente i Piani di Aggiustamento Strutturale, in Africa occidentale (Nigeria e Ghana) nasce una cinematografia popolare a orientamento commerciale, che trasforma radicalmente il panorama mediatico africano. Giovani dai diversi background (ex teatranti, cineasti, professionisti licenziati dal settore televisivo, imprenditori attivi nel settore dell’elettronica e disoccupati), accomunati dalla necessità di trovare nuove fonti di sussistenza, si appropriano della tecnologia video -low cost e facile da usare- per realizzare film low-budget (poche migliaia di dollari), diretti all’eterogeneo pubblico delle masse urbane locali. Si tratta di una filmografia complessa che coniuga in maniera nuova tradizioni artistiche locali e forme mediatiche globali (telenovelas, Hollywood, Bollywood e kung-fu movie asiatici), dando vita a un’estetica grottesca che mira a conquistare il pubblico delle metropoli post-coloniali, attraverso le vicende di personaggi dalla vita “scandalosa”, caratterizzata da eccessi finanziari, materiali e sessuali. Il suo successo sul mercato regionale, così come sull’intero continente e nella diaspora è tale che l’industria cinematografica nigeriana diventa la seconda al mondo per numero di produzioni annue, dopo l’indiana Bollywood, ma prima dell’americana Hollywood, guadagnandosi a pieno titolo l’etichetta di “Nollywood” (dati UIS 2009).

I segreti della sua popolarità sono già individuabili nel primo film Living in Bondage (Chris Obi-Rapu, 1992). Attraverso un complicato intreccio di amori, tradimenti, culti segreti e sacrifici umani, Living in Bondage affronta il tema della precarietà delle classi urbane. II protagonista, un abitante di Lagos di nome Andy, pur tra mille sforzi, non riesce a trovare un lavoro che gli consenta di mantenersi dignitosamente. Solo quando diventa membro di una setta, raggiunge l’agognato successo economico, mediante il sacrificio della moglie agli spiriti. Tuttavia, la fretta di risposarsi, senza rispettare il periodo di lutto prescritto, causa le continue apparizioni del fantasma della defunta che lo portano alla pazzia, riducendolo a un barbone. Il lieto fine arriva con la conversione alla religione pentecostale, che lo libera dal vincolo con le forze sovrannaturali, garantendogli, parallelamente, il godimento in sicurezza delle ricchezze accumulate attraverso la via occulta.

Questa e analoghe storie “scandalose” -dove ogni codice morale è violato in nome di denaro e potere- mirano a shoccare il pubblico, andando a rappresentare una risposta estetica al senso di vulnerabilità (materiale, sociale, spirituale, politica e fisica) che caratterizza la vita nelle metropoli africane. In particolare, le vicende di personaggi che hanno successo grazie a sacrifici umani registrano la perplessità della popolazione di fronte a diseguaglianze economiche sempre più marcate, dove le origini della ricchezza appaiono opache, radicate nel consumo più che nella produzione. In questo senso, pratiche religiose, riti cruenti, raduni di streghe, accomunati dalla promessa di rendere accessibili le forze ignote che permettono di fare soldi dal niente -o più spesso “consumando” gli altri- esprimono le dinamiche del capitalismo contemporaneo, dove una minoranza sembra arricchirsi a spese dei più.

Non si tratta di mere metafore e fiction, tuttavia. Questi film si ispirano alle locali leggende metropolitane, mettendo in scena le figure dell’iconografia popolare, attraverso il filtro della religione pentecostale. Mentre il cattolicesimo considera le credenze tradizionali superstizioni da sradicare, il pentecostalismo ne accoglie l’esistenza, mediante una ri-significazione in chiave diabolica. Spiriti, sirene, vampiri e zombie, così come le altre entità che compongono la sincretica cosmologia locale (essa stessa influenzata dall’immaginario horror hollywoodiano), sono presenze reali, sotto le cui spoglie Satana combatte la lotta contro Dio e le forze del Bene, per la supremazia sugli esseri umani. In quest’ottica, grazie agli effetti speciali, i film visualizzano il mondo occulto e -offrendo uno squarcio su una battaglia altrimenti invisibile- trasformano la ricezione in una rivelazione, paragonabile alla trance e ai sogni. I confini fra fiction e realtà sono quanto mai sfumati, laddove la costruzione di altari di scena e la rappresentazione di rituali “magici” portano con sé i pericoli della mimesi, attirando sul set le presenze mistiche che mirano a imitare.

In formato VHS (e poi VCD/DVD), queste storie circolano anche in Ghana, facendo concorrenza alle produzioni locali, similmente impregnate di cultura pentecostale, ma più restie nella visualizzazione dei “mostri” del mondo occulto. Negli anni Novanta sono trasmesse -insieme a film locali, americani e asiatici- nei cosiddetti video club, ovvero stanze dotate di televisore, videoregistratore e panche dove gli spettatori più poveri pagano un economico biglietto di ingresso per assistere alle proiezioni. Per i gestori dei video club, su sacchi di farina (perché non possono permettersi tele ad hoc), pittori dipingono a mano le locandine dei film in programma, a scopo pubblicitario. Le loro opere condividono con Nollywood un’estetica dell’eccesso e dell’impatto immediato che mira ad attrarre lo spettatore con colori accesi, espressioni marcate, personaggi spaventosi. Tuttavia, non costituiscono mere illustrazioni dei film. Gli artisti si lasciano suggestionare liberamente dai titoli, dando vita a dipinti dalla relazione tutt’altro che scontata con le trame cinematografiche (che, d’altra parte, non necessariamente conoscono). Nelle loro raffigurazioni essi non si limitano a cercare di conquistare il pubblico, ma rivisitano il mondo invisibile locale. Attraverso il vocabolario dell’occulto, esprimono paure, incertezze, speranze e desideri che sono anche individuali, sviluppando stili personali e idiosincrasie, laddove l’unico limite alla loro immaginazione è la dimensione della tela (un sacco di farina da 50 kg o due sacchi cuciti insieme). In questo senso, i poster sono spesso più interessanti dei film che pubblicizzano, trasformandosi in forme artistiche a sé, quando i primi collezionisti d’arte (primo fra tutti Ernie Woolfe) vi scorgono la genialità. Negli anni Duemila, con la diffusione di televisori e lettori DVD privati, i video club a mano a mano chiudono, ma i pittori continuano a dipingere il cinema sulle loro tele, che ora costituiscono opere d’arte, invece che “pubblicità”.

La mostra, organizzata nello storico Palazzo del Podestà, è il risultato della collaborazione tra la FAR, Fabbrica Arte Rimini, il Centro Studi Archeologia Africana e Giovanna Santanera.

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