Taouardei

Giulio Calegari

L’occasionale “riscoperta” del sito di Taouardei, all’inizio degli anni’80, da parte di un gruppo di appassionati viaggiatori, permise di coglierne l’importanza, suggerendo l’opportunità di intraprendervi un programma di ricerche. Programma che si concretizzò, grazie all’entusiasmo di Lidia Cicerale, in tre spedizioni, dal 1983 al 1990, organizzate dal Centro Studi Archeologia Africana con il patrocinio e la tutela scientifica del Museo di Storia naturale di Milano e con l’autorizzazione del’Institut de Sciences Humaines di Bamako. Spedizioni di cui ebbi occasione di curare l’aspetto scientifico.

Il sito di Taouardei, nella Repubblica del Mali, si trova a circa 180 chilometri a Nord-Est di Gao, nella fascia del Sahel. Coordinate: 16° 56 N / 1° 25 E (carta al 1.000.000 del Mali, foglio “Kidal”).

L’ambiente è caratterizzato da un complesso granitico costituito da grandi massi modellati dall’erosione nelle tipiche forme tondeggianti. Le rocce disegnano sul territorio un grande labirinto sub-ellittico il cui asse maggiore misura più di un chilometro. Il letto asciutto di uno uadi descrive il suo corso serpeggiando tra i massi passando nel centro del complesso roccioso.

La presenza di alcuni pozzi caratterizza la località come importante luogo di transito e di incontro per i nomadi che, nella loro pratica tradizionale, sono soliti condurvi il bestiame dopo il periodo delle piogge.

Al tempo delle nostre spedizioni, prima che una nuova drammatica realtà ne sconvolgesse con le armi gli equilibri, nella regione nomadizzavano gruppi Tuareg (preferirei non utilizzare questo temine di lingua araba) appartenenti alle confederazioni Ioullimiden e Kel Ifoghas, ridotti ormai, nel loro difficile rapporto con l’ambiente e le nuove realtà del paese, a sviluppare un’economia di sussistenza spesso troppo precaria, con sintomi di sedentarizzazione spontanea ai margini dei centri urbani, più a sud.

Taouardei, dunque, nella sua allusività architettonica di “città geologica” si pone, sin dal passato, come luogo di riferimento idrico e incrocio-convergenza per le popolazioni nomadi sahariane, punto forte verso Sud (in area saheliana) per la penetrazione dei guerrieri berberofoni allevatori di cavalli e di dromedari che vi lasciarono le numerose incisioni rupestri.

La storia dell’uomo, da queste parti, è legata al succedersi nel tempo di ecosistemi diversi; i documenti d’arte rupestre e i reperti paletnologici, numerosi, danno l’idea della complessità della presenza umana e del suo rapporto con le condizioni ambientali di un territorio segnato da una profonda vocazione all’aridità.

A Taouardei la presenza d’acqua (fiume una volta, nel cui letto quasi costantemente arido sono stati scavati alcuni pozzi) e di materie prime come la selce, il calcedonio rosso, il granito e la quarzite, unitamente all’importanza come punto di riferimento che già di per sé rappresenta un simile spazio, lo resero interessante per l’uomo sin dalla lontana preistoria.

Osservazioni di carattere paletnologico, soprattutto di superficie, hanno permesso di identificare vaste aree di depositi antropici riferibili a differenti momenti culturali e di raccogliere campionature di materiali, così come la deflazione le aveva poste in evidenza sul suolo, dove si presentavano sulla superficie di calpestio come unico strato che conservava, mischiati, reperti tra loro molto distanti nel tempo.

All’interno del complesso granitico, forse anche a causa della frequentazione dei nomadi, le tracce di manufatti archeologici appaiono piuttosto irrilevanti, perlomeno in superficie, anche se, soprattutto nella zona centrale, in prossimità dello uadi, sono stati rinvenuti alcuni bifacciali e strumenti su scheggia, molti in quarzite, riferibili al Paleolitico inferiore, genericamente all’Acheuleano. Purtroppo l’assenza e la difficoltà di reperire valide stratigrafie, in ambiente sahariano e saheliano, ci impedisce di collocare in maniera cronologicamente corretta le diverse culture che hanno fatto seguito, in questa località, all’Acheuleano finale, per quel momento che potremmo attribuire al Paleolitico medio e superiore o ad un Epipaleolitico; l’identificazione dei rari manufatti riferibili a queste culture è dunque legata ad una loro approssimativa attribuzione tipologica.

Abbondanti, per contro, le testimonianze neolitiche.

All’esterno del gruppo roccioso, verso Sud, è stato possibile infatti identificare numerose presenze di insediamenti ed officine di lavorazione della pietra. Tipologicamente i reperti sono attribuibili ad una fase locale di quel Neolitico saharo-sudanese che caratterizza la regione e tutta l’area del Tilemsi. Il materiale, raccolto e osservato nel corso delle ricerche, si compone di lamelle, punte a dorso abbattuto, triangoli, trapezi, segmenti di cerchio, grattatoi discoidali, perforatori, becchi. Sono presenti armature di freccia nelle varietà tipiche di questo ambito: punte foliate e peduncolate, in un caso di tipo asimmetrico, a foggia di arpone. I minerali impiegati sono la selce, il calcedonio, il quarzo e la quarzite.

In grande quantità è possibile rinvenire asce ed accette, intere o frammentarie, di varie tipologie e dimensioni, con tallone appuntito o tronco, con tagliente arcuato o rettilineo, in genere interamente levigate. Non sono state osservate asce a gola.

Estremamente numerose sul terreno sono poi le tracce della lavorazione di “perle” in calcedonio rosso; tracce che ci hanno lasciato migliaia di frammenti di perle rotte in fase di realizzazione e che permettono di intravvedere una intensa attività di produzione di questi oggetti di adorno, produzione favorita dalla presenza di un giacimento di calcedonio rosso posto a pochi chilometri dalle aree di interesse archeologico.

La lavorazione di granaglie o la triturazione di vegetali è documentata da numerose mole, pestelli e macinelli di varie fogge e misure, realizzate in roccia metamorfica o in granito.

Due manufatti in ferro, una sorta di punteruolo e una freccia, documentano la frequentazione del sito sino a tempi più recenti così come i resti ceramici, abbondanti sul terreno, per i quali possediamo datazioni assolute da alcuni saggi di scavo.

Durante la campagna del 1990, si è proceduto a compiere alcuni sondaggiin un’area, denominata dai Tuareg “Maison des Ancetres” caratterizzata da grandi massi isolati, a SE del pozzo principale, dove si scorgevano abbondanti frammenti di ceramica sia decorata sia inornata.

Il suggestivo toponimo e ed i numerosi indizi che lasciavano intendere la possibilità di identificare in stratigrafia livelli archeologici, ci hanno suggerito di concentrare in quell’area i nostri saggi esplorativi. Il maggiore di questi, aperto a ridosso dei massi rocciosi e orientato ortogonalmente ad essi, ha rivelato, sotto una lente sabbiosa di apporto eolico, due livelli antropizzati intervallati da uno strato di sabbia sterile. Entrambi ad andamento orizzontale, con uno spessore di cm 15-20, hanno restituito una buona quantità di frammenti ceramici e scarsa industria litica, solo schegge di lavorazione in selce e quarzite. Nel livello superiore il 92% dei frammenti rinvenuti si presentava a superficie inornata mentre il livello inferiore, più antico, era costituito esclusivamente da ceramiche a decorazione impressa o incisa. Analisi su vari campioni di ceramica, con il metodo della dosimetria termoluminescente, hanno fornito datazioni complessivamente omogenee comprese tra il I° e il II° secolo A.C. Una sola eccezione era costituita da un campione rinvenuto nello strato superiore la cui datazione, verificata con ripetute analisi, lo collocava al 1655 243 B.C. La sua collocazione “fuori tempo” è da ritenersi ad un apporto successivo dovuto all’opera dell’uomo (che ha scavato nei pressi sepolture islamiche che possono aver coinvolto livelli sottostanti più antichi) o a fattori dinamici indotti dalla posizione prossima alla parete rocciosa.

Di fatto da queste datazioni risulta che a Taouardei, nei primi secoli della nostra era, erano sul posto ancora popolazioni sedentarie, favorite dalla presenza di un corso d’acqua e dalla particolarità del territorio, con i suoi affioramenti granitici che, elevandosi dalla pianura circostante, caratterizzano il luogo come architettura naturale, in grado di offrire riferimenti spaziali, ricovero e materie prime.

I dati ricavati da queste indagini stratigrafiche, pur se esigui, ci permettono di gettar luce su un periodo cronologico che deve aver di poco preceduto importanti cambiamenti climatici ed etnoculturali. Infatti è su questa linea di confine geografico e culturale che, in tempi di poco successivi alla presenza degli ultimi sedentari, come è ben documentato dalle testimonianze d’arte rupestre dell’Adrar des Ifoghas, si faranno sentire dal Nord nuove popolazioni paleo berbere equidiano-cameline antenati dei Tuareg.

In seguito, ma siamo già alle soglie della penetrazione islamica, queste genti, caratterizzate da una società altamente gerarchizzata, lascerà sulle rocce di Taouardei l’espressione figurativa di un’aristocrazia guerriera, ultimo episodio dell’arte rupestre sahariana.

Le incisioni rupestri presenti nel sito di Taouardei risentono del supporto roccioso, il granito, su cui sono state realizzate. La natura granulare della roccia ed il suo colore rosa tenue, coperto da una patina molto scura formatasi nel tempo, hanno in buona parte condizionato le tecniche di esecuzione dei rupestri stessi. Basta infatti scalfire appena la superficie rocciosa per mettere in evidenza il colore chiaro sottostante ottenendo un effetto di netta bicromia.

Nel complesso le incisioni sono state realizzate con una veloce picchiettatura-strofinatura per tracciarne il disegno, seguita in molti casi da un tecnica di levigatura, a volte piuttosto accurata e relativamente profonda, più spesso frettolosa, appena accennata, poco più di una sfregatura della roccia.

Pertanto è possibile osservare a volte un solco liscio e uniforme, altre una traccia più superficiale che, intaccando i grani più sporgenti in superficie, si presenta come texture puntiforme. Queste caratteristiche della roccia, che mal si prestava ad esecuzioni dal tratto più sottile, tipo graffito, hanno condizionato le dimensioni delle figure che variano da cm 10 (poco più che segni) a cm 265, con una tendenza a rappresentazioni di una certa grandezza, alcune delle quali eseguite con discreta cura. Fatta eccezione per qualche sovrapposizione di incisioni o per i pochi evidenti casi di aggiunte posteriori, voglio escludere, in modo particolare nel caso di Taouardei, uno stretto legame tra le tecniche esecutive sopra descritte e un’interpretazione di carattere cronologico-culturale. Figure appartenenti allo stesso contesto possono essere state realizzate con accurata levigatura così come con una superficiale strofinatura o picchiettatura. Una maggiore qualità o impegno nell’esecuzione può essere posto in relazione all’importanza che l’intervento figurativo rivestiva, al tempo disponibile od alle capacità personali.

Va sottolineato che, ai piedi delle rocce figurate o in prossimità di esse sono stati rinvenuti diversi ciottoli, in genere di quarzite, che presentavano tracce di usura compatibili con una attività di picchiettatura e strofinatura della superficie rocciosa; identificabili quindi come gli strumenti con i quali sono state eseguite le incisioni.

Per comprendere l’aspetto culturale e il significato figurativo degli antichi “artisti” di Taouardei sarà opportuno osservare i soggetti rappresentati.

Su un totale di 388 figure prese in considerazione prevale la figura del cavallo, con o senza cavaliere, seguita dalla rappresentazione del dromedario. Sono poi presenti in misura minore lo struzzo e la figura umana, stilizzata in modo filiforme. Rare le figure di antilopi, leoni, giraffe e cani. Gli episodi narrativi siano rarissimi. Possiamo a tal proposito citare alcune scenette interpretabili come momenti di un rapporto sessuale o altre che rappresentano donne partorienti; in una composizione due personaggi reggono tra loro un bambino e in due casi una coppia e forse una famigliola sono racchiuse in un cerchio che potrebbe rappresentare, chissà, la loro abitazione. In alcuni casi sono figurate semplici scene di caccia in corsa, su cavallo o dromedario, allo struzzo o all’antilope o gazzella; due cavalieri, aggiunti posteriormente alla figura di un grande felino, si azzardano ad inseguirlo per colpirlo. In tutti i casi l’arma è il giavellotto. Dalle figure, e non è un caso come vedremo, è esclusa ogni rappresentazione di bovino o di altri animali domestici che non siano il cavallo e il dromedario.

Sulle pareti compaiono poi numerose le scritte: isolate piuttosto che accostate o aggiunte posteriormente alle immagini. Sono scritte in tifinagh, sistema di scrittura che deriva dall’antico alfabeto libico-berbero; alcune, più antiche, sono il più delle volte illeggibili, altre sono in tifinagh moderno, utilizzato ancora oggi per trascrivere il tamajeq. I Tuareg si definiscono infatti Kel Tamajeq, il popolo che parla tamajeq. I nomadi del luogo, affermano di comprendere le scritte più recenti leggendole come nomi propri o affermazioni personali del tipo “sono io”, oppure “è bello cavalcare”.

Abbastanza frequenti le scritte in caratteri arabi che in alcuni casi si possono associare ad immagini di cavalli in cui compare la rappresentazione della sella e delle briglie.

Per un’interpretazione iconografica delle immagini, possiamo affermare trovarci di fronte a due momenti diversi. Infatti è possibile contrapporre nettamente un tipo di figurazione dinamica ad un’altra più statica e decorativa che, a mio avviso compare di seguito e caratterizza lo “stile” locale. Nel primo caso, riassumendo per sommi capi, gli animali paiono più scattanti e pervasi da una certa energia dinamica: sottolineata dalla curva concava del dorso che si contrappone alla curva convessa dei glutei e dalle zampe, talvolta piegate nel galoppo e di cui, in più casi, sono evidenziati il ginocchio e il garretto. Il collo, corto e robusto, è proteso in avanti. Sono immagini che si rapportano con un tempo in movimento.

Per contro l’opposta tendenza figurativa perviene, attraverso il “raffreddamento della precedente maniera”, ad un’immagine statica, fissa come un’icona in un tempo immobile. Il profilo della figura perde via via la sua sinuosità, la curva dei glutei, anche se a volte ancora molto accentuata non si raccorda più in modo dinamico con le zampe, che scendono diritte. Il tratto che delimita la parte inferiore del corpo con il ventre e le zampe, assume la forma di U rovesciata, sempre più squadrata. La fissità delle figure è maggiormente ribadita, in un buon numero di casi, da una linea di terra che unisce le zampe. Il collo degli animali si allunga in maniera esagerata, a competere con quello dei dromedari, anch’essi rappresentati con colli e zampe addirittura spropositati.

La figura del cavaliere si sottrae sempre ad una precisa descrizione verosimile della fisionomia umana: il personaggio è sempre una sorta di scarabocchio filiforme, in alcuni casi quasi un ideogramma. Sul capo del cavaliere pare accennato con un tratto una sorta di copricapo, poco più di una virgola, che richiama probabilmente l’importanza pratica e culturale di avere capo e volto coperto, come avviene ancora oggi tra i Tuareg.

Nel complesso, le incisioni che caratterizzano Taouardei, si mostrano incise sul supporto roccioso senza un apparente piano distributivo, se non quello di sfruttare al meglio la superficie più adatta o la posizione che permetteva di porle in maggior evidenza. In questo caso una certa ubicazione sul territorio è legata alla presenza dei pozzi e dello uadi – la parte più frequentata insomma – intorno al cui percorso paiono organizzarsi le figure di maggiori dimensioni e miglior fattura. In generale, tranne pochi casi, le incisioni non si presentano ad altezza rilevanti, sulle rocce. La loro collocazione, in rapporto all’attuale piano di calpestio, è ad altezza d’uomo. Talvolta le dimensioni e la regolarità di una parete hanno favorito l’esecuzione di teorie di figure allineate.

Anche se, come si è detto, nelle figure è possibile cogliere differenti soluzioni grafiche nello stile e qualità esecutiva o dovute ad un lieve divario cronologico, nondimeno esse partecipano di una coerente funzione iconografica. Lo scopo è quello di celebrare, affermandola sul territorio per mezzo delle incisioni stesse, la presenza di un popolo di aristocratici guerrieri.

La presenza sul territorio, a partire dal X-XI secolo della nostra Era, di una popolazione la cui struttura sociale e culturale è rimasta pressoché immutata sino ai nostri giorni, ci permette di coglier un senso di omogeneità nelle incisioni rupestri di Taouardei, sin dove il forte influsso dell’Islam è venuto ad inibire definitivamente l’uso della rappresentazione figurativa.