Giulio Calegari
Ogni cultura ha un rapporto privilegiato col proprio territorio, del quale è in grado di scorgere gli aspetti pratici e simbolici, utili alla sopravvivenza e al sogno. Non sempre è facile scorgere quegli elementi che caratterizzano, per una popolazione, la propria geografia ed i tempi per viverla.
Abbiamo potuto osservare e documentare alcuni esempi del rapporto pratico e simbolico con lo spazio grazie ad una serie di campagne di ricerche etno-archeologiche svolte dal 1983 al 1990 nel Mali nord-orientale, presso popolazioni Kel Tamajeq.
A seguito di studi sull’arte rupestre a Taouardei, a 120 km Nord-Est di Gao, è stato possibile, gradualmente e grazie alle confidenze dei nomadi, identificare la “mappa” di uno spazio di identità culturale (una sorta di “città invisibile”) nel grande labirinto granitico che caratterizza geologicamente il luogo. In questa “mappa” si possono scorgere luoghi di pubblica utilità (pozzi, spazi pratici per ripostigli o luoghi d’incontro, ad esempio) o angoli sacri (luoghi di preghiera, cimiteri, antiche tombe) accostati a punti di riferimento simbolico o mitico, come le rocce chiamate “la casa degli antenati”, i litofoni, le incisioni rupestri e così via.
Una mappa mentale dunque, che viene deposta a Taouardei come un tappeto, dalle popolazioni che nomadizzano il luogo frequentandolo, in genere, due volte l’anno, trasformando uno spazio di natura in un paesaggio di cultura. Queste osservazioni si sono arricchite di altri due riferimenti osservati in località vicine, mai esplorate. In un caso si tratta di una delle presunte tombe del mitico Antenato culturale, il gigante Amamellen, a Tahunt-Molet. In un altro caso, nella piccola località granitica di Tin Tarbayt, ci è stata mostrata la camera da letto dello stesso Amamellen. Si trattava di una lunga fessura tra le rocce della stessa lunghezza della sua “tomba”, ricca di incisioni rupestri e dotata di un cuscino costituito da un “pietra che canta”.