di G. P.
Nei pressi di Agomé-Seva, in Togo, dove il fiume Mono fa da confine con il Bénin (foto 1) esiste da tempo immemorabile un grande altare all’aria aperta dedicato al vodu Dagbazin. Il vodu Dagbazin è uno spirito serpente (Dan) al quale ci si rivolge per chiedere e fare delle promesse. E’ in relazione con l’aria, gli alberi e la terra e lo si invoca configgendo picchetti nel suolo.
Il prolungato esito di queste pratiche ha creato un luogo straordinario, una collina infissa di migliaia di picchetti, una sorta di moderna “installazione artistica” (foto 2, 3 e 4). La gran parte dei picchetti sono semplici pezzi di legno ma talvolta assumono tratti naturalistici di figure umane (foto 5).
In quel luogo gli adepti si recano per raccogliersi in meditazione (foto 6) o per infiggere picchetti votivi in prossimità di un sacro albero (foto 7 e 8).
In occasione di una visita recente abbiamo seguito e documentato un’intera cerimonia. Un gruppo di persone è accovacciato in preghiera prima di compiere il rito (foto 9). Lo compongono l’adepto (l’uomo con i calzoni chiari) accompagnato da due conoscenti e da un prete del vodu Dagbazin (l’uomo a torso nudo). Il prete, intonando una cantilena, comincia il rito versando una sostanza alcolica nel luogo prescelto per la cerimonia (foto 10). A quel punto comincia l’infissione del picchetto con il prete che recita una giaculatoria ripetuta, parola per parola, dall’adepto mentre uno degli accompagnatori tiene in mano il pollo che sarà sacrificato alla fine del rito (foto 11). A quel punto l’adepto infigge il picchetto con l’ausilio di una grossa pietra, accompagnando ogni colpo con un’invocazione (foto 12). E alla fine l’uccisione del pollo a cura del prete perché il sacrificio è parte di ogni rapporto con i vodu. Il sangue degli animali immolati è infatti essenziale a qualsiasi transizione tra gli uomini e gli spiriti sia durante le cerimonie collettive, sia quando gli uomini e le donne si rivolgono ai vodu per negoziare una soluzione ai loro problemi esistenziali e quotidiani.
Lomé, 2012
Testi e immagini di questa storia sono protetti da diritti di copyright del Centro Studi Archeologia Africana e pertanto non possono essere riprodotti (né in toto, né in parte) senza esplicito consenso scritto del CSAA.