di G. P.
In Togo, ancora oggi non è difficile individuare dove si trova un tempio vodu. Nella capitale Lomè, sia nel centro urbano, sia nei quartieri periferici, nelle cittadine costiere, nei villaggi, lungo le strade, una bandierina bianca, oppure bianca, rossa e nera (i colori del vodu), issata su un’alta pertica indica inequivocabilmente la presenza di un luogo di culto. Un po’ più complesso è farsi un’idea dall’interno, poterlo visitare e fotografare; occorre il consenso del proprietario. L’autorizzazione ad una visita non è scontata, anzi. Non è infatti raro che il sacerdote o la sacerdotessa vodu titolare del tempio necessiti di una preventiva consultazione con gli spiriti che talvolta non viene concessa o viene concessa solo parzialmente.
Nell’agosto 2010, ho chiesto ad un amico locale, Albert, di farsi da tramite per poter visitare un tempio vodu che contenesse un altare di Mami Wata. Albert, che è cristiano pentecostale, tra i fedeli della sua chiesa conosce una signora di mezza età, anche lei convertita, che è figlia di una famosa “mamissi” (cioè un’adepta di Mami Wata).
Ottenuta l’autorizzazione partiamo in direzione di Anfoin, un villaggio tra Aneho e Afagnan, non lontano dal confine con il Bènin. Raggiungiamo il tempio: si presenta con un alto muro di cinta dipinto di bianco e decorato all’esterno con tre affreschi murali (foto 1, 2, 3): il primo (quello più vicino alla porta) rappresenta una cavallerizza vestita di bianco nella consueta iconografia del vodu Ablo, il secondo e un’immagine di Mami Wata (la donna con i serpenti), il terzo, palesemente di derivazione indù (Vishnu), rappresenta il vodu Densu. Penetriamo nel primo cortile, è vuoto, solo un grande affresco murale (foto 4) del serpente arcobaleno, il vodu Dangnidohèdo, indica l’ingresso al secondo cortile. Il secondo cortile è viceversa ricco di immagini ma non possiamo soffermarci, la mamissi ci aspetta, torneremo poi.
Eccola, Aloumon Nouhessi (foto 5) è una donna anziana vestita di bianco (è il colore delle adepte di Mami Wata). Ci rendiamo immediatamente conto che è suo, pur se giovanile, il ritratto naturalistico della cavallerizza. Aloumon ci accoglie con grande affettuosità e gentilezza facendoci accomodare nell’ampio locale dove riceve gli ospiti ai quali è immediatamente rivolta la preghiera di una piccola adepta (foto 6). Il salone è lindo come ben si addice ad una sacerdotessa di Mami Wata ma zeppo all’inverosimile di oggetti, quadri, foto, fiori, immagini cristiane e indù, ecc. (foto 7). Nel complesso un fantasmagorico “allestimento” con alle pareti pitture rappresentanti e Mami Wata (foto 8) e Mama Tchamba (foto 9).
Terminati i convenevoli di rito, Aloumon ci racconta la sua storia. E’ nata circa 88 anni fa ad Anfoin ma sua la famiglia è originaria di Pèda, in Bènin. Il vodu di famiglia è Motan uno spirito del fulmine simile ad Heviossou (cioè il grande vodu del fuoco, del fulmine e del tuono che dirige e controlla il cielo). L’altare di Motan però non si trova in questo luogo ma altrove, nell’antica casa di famiglia. Aloumon ci riferisce che questo suo tempio è stato costruito circa 40 anni fa e contiene gli altari di una decina di vodu dei quali è adepta. In tutta la regione lei è una guaritrice famosa oltre che sacerdotessa vodu; per questo, non di rado viene richiesta di consultazioni anche in luoghi lontani, in Bénin e Nigeria.
Siamo ammessi alla visita dell’interno. Comunicante con la sala di ricevimento un solo locale: la stanza da letto della “mamissi” (foto 10). Nell’ampio spazio, appese al muro le collane del vodu e accanto al letto un ricco altare di Venavi (foto 11), cioè le figurine del culto dei gemelli. Usciti nuovamente all’aperto, attraverso uno stretto passaggio ci dirigiamo a visitare gli altari. Come sempre accade nei templi vodu, anche se la grande casa comprende una zona abitativa, l’area dove si trovano gli altari è segregata ed esclusivamente dedicata a luogo di culto. Sui muri gli affreschi rappresentano il vodu Ade, il cacciatore (foto 12) e il vodu Adjakpa, il coccodrillo (foto 13). In due piccoli locali chiusi sono collocati gli altari di Ade (foto 14) e di Mama Tchamba (foto 15). Entriamo in un ulteriore piccolo fabbricato che nel vestibolo contiene un altare di Adjakpa con due enormi coccodrilli in cemento (foto 16) e sulle pareti nuovamente l’immagine del vodu Densu (foto 17) ed altra iconografia di indubbia origine indù (foto 18). Una sequenza di affreschi tra cui un ritratto della figlia Aloumon in abito da militare (e quindi definita “amazzone”), morta in un incidente (foto 19) e un’inquietante immagine di un volto che affiora dalle acque (foto 20). Dal vestibolo si accede a due altari chiusi e bui: il primo del vodu Dan, cioè il serpente, contiene pitture e sculture in cemento di fantastica policromia (foto 21) e finalmente, introdotto da una grande immagine murale (foto 22), fiori e barattoli di cipria (foto 23), l’altare di Mami Wata (foto 24). Negli stretti vicoli dell’isolato un’immagine di Zikpè, il “tabouret” che rappresenta gli antenati (foto 25) e ulteriori immagini di derivazione indù tra cui una rappresentazione di Ganesh (foto 26 e 27). Nei cortili interni sono collocati diversi altari di Egun, il vodù della guerra; sono grandi ammassi di ferraglia di straordinario impatto visivo (foto 28 e 29). Prima di riprendere il percorso verso l’uscita, un grande affresco del vodu Heviossou (foto 30) segnala la presenza di un altare non accessibile. Finita la visita, il figlio di Aloumon Nouhessi che è “bokono”, cioè indovino, ci mostra come si fa la divinazione di Afa (foto 31 e 32).
Lomé, 2010
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